Matematicando in classe quinta (11). Un compito di realtà per capire che “sbagliando si impara”

Prima di tutto vi faccio una domanda, anzi, ci facciamo una domanda: noi docenti creiamo le condizioni adatte affinché i nostri studenti siano messi nella condizione di poter sbagliare e quindi poter riflettere sui loro errori?

La questione è cruciale per capire il motivo che mi ha spinto a pensare l’attività che sto per proporvi. Premetto che il mio metodo di lavoro tende sovente a “mettere alla prova” i miei studenti cercando di stimolarli quotidianamente alla riflessione proprio a partire dalle esperienze, positive o negative, tra i banchi. In questi anni abbiamo imparato a sperimentare, lavorare e confrontarci in gruppo o in coppia. Nella mia esperienza, mi è capitato di offrire loro situazioni nuove, mai sperimentate prima, per valutarne gli effetti e per stimolarli ad andare oltre alle spiegazioni e consegne da me fornite. Noi docenti, però, tendiamo spesso ad offrire spiegazioni che vanno oltre alla spiegazione stessa (ma sono dei veri e propri suggerimenti, delle guide con risposta inclusa) e che il più delle volte risultano essere anche inutili se non controproducenti. Ma perché sono addirittura inutili e controproducenti? Perché in questo nostro agire priviamo l’alunno dell’esperienza “del poter tentare da solo”. Tentare da solo significa prima di tutto imparare a tirar fuori il meglio di sé. Questo meglio, questa capacità di trovare delle risorse proprie, ha a che fare con la creatività, il problem solving, il saper utilizzare le conoscenze e le abilità acquisite per riuscire a fare qualcosa: significa dimostrare competenza. Tirar fuori la propria competenza significa anche sapersi mettere in gioco senza aver paura. Ma paura di cosa? Paura di sbagliare, di non fare giusto subito. “Maestra, ho l’ansia da prestazione” mi sento dire oramai troppo spesso. Ancora capita che alunni di quinta (e io insegno in tre quinte) mi facciano domande scontate solo perché insicuri o solo perché abituati ad avere per forza una conferma da parte dell’adulto prima di procedere. Nessun azzardo, nessun tentativo… Si cerca sempre la sicurezza. Quando mi pongono domande così banali (perché loro in realtà conoscono le risposte) spingo loro a darsi una risposta da soli. Dopo qualche secondo, riescono ovviamente a darsela: se io ho fornito tutti gli strumenti necessari… loro quella risposta la devono trovare. E infatti così è. Solo che è molto più comodo e meno rischioso trovare da sé la risposta. Si procede per inerzia, tanto c’è l’adulto che pensa e agisce per noi!

Ne ho parlato molte volte nei miei resoconti: non cadiamo mai nell’errore di offrire alla loro attenzione solo esercizi che sanno già fare perché già visti insieme. È importante che, qualche volta, le strategie siano loro a proporle. Soprattutto in quinta si deve volare alto verso l’autonomia. Nell’apprendimento e nello studio come nelle relazioni sociali, come nella risoluzione dei piccoli problemi legati alla quotidianità.

E come la mettiamo con gli errori? Ossia: e se il bambino sbaglia? Si potrà deprimere? Si potrà traumatizzare? Sono stanca di questa pedagogia del bambino di cristallo: fragile, indifeso, un tesoro da difendere a tutti i costi. Io credo fermamente nel potere di ogni bambino e ogni bambina. Credo fermamente nell’importanza di garantire ad ogni bambino il diritto alla felicità, all’equilibrio e al benessere da tutti i punti di vista. Ma per fare questo dobbiamo anche avere il coraggio di farli vivere e crescere fuori dalle campane di vetro. Il nostro compito, di insegnanti e di genitori, è quello di guidarli con equilibrio verso una crescita sana, autonoma e anche coraggiosa. Imparare a crescere significa riuscire a farlo anche grazie agli errori. Noi adulti saremo lì ad insegnare loro come diventare forti proprio grazie agli errori. Lo diceva anche la mia cara nonna: “Sbagliando si impara!”. La saggezza popolare ci insegna ancora una volta qualcosa di prezioso. MA Cosa significa?

Offrire ai nostri alunni situazioni nuove, mai affrontate prima (ma che noi abbiamo pensato tenendo conto di tutto il percorso che li ha portati sino a quel punto e quindi chiamando in causa le loro conoscenze e le abilità acquisite) ci consente di metterli nella condizione di poter sbagliare. Ma a che pro? Perché se lo studente è messo nella condizione di sbagliare o di procedere senza quella sicurezza del “tanto ricordo la procedura e lo faccio come ho imparato” (aspetto certamente molto rassicurante ma non sempre produttivo e utile) non avrà l’occasione di imparare qualcosa di fondamentale: riuscire a mettersi in gioco. Mettersi in gioco significa accettare una sfida e provare in tutto e per tutto a vincerla. Per fare ciò si è costretti a mettere in campo quel processo creativo che sta alla base di un buon metodo di apprendimento e di crescita. Il rischio dell’errore è messo in conto MA è produttivo. Perché? Perché sbagliare una volta può significare imparare dopo ma comunque imparare.

Dobbiamo fare in modo che l’errore sia vissuto con gratitudine: questa volta ho sbagliato, grazie al cielo sono umano, ma la prossima volta andrà meglio perché ora posso capire come affrontare meglio un’esperienza simile. Lo facciamo anche nella vita quotidiana, perché non applicarlo alla matematica? Questo possiamo farlo se offriamo la possibilità di riflettere sull’errore insieme e condividere idee, procedure, dubbi e soluzioni. Diamo loro la possibilità di poter lavorare con problemi in grado di tirar fuori risposte creative senza attribuire all’errore un valore negativo. Come possiamo fare dell’errore un momento di crescita e apprendimento attivo? Sicuramente possiamo chiedere ai nostri alunni di verbalizzare a voce alta (ma anche per iscritto che dovrà comunque essere condiviso con la classe) le procedure attivate in modo che siano trasformate in concetti. “Se riesco a spiegare ciò che ho in mente e ciò che ho fatto significa che ho padronanza di quanto conosco”. Questo aspetto squisitamente metacognitivo ci consente di sondare anche le competenze dei nostri allievi. Un approccio cognitivamente attivo che può essere utilizzato anche per insegnare loro ad autovalutarsi, per comprendere come valorizzare le loro competenze o recuperare i tasselli mancanti.

Ma andiamo al concreto… perché forse sono stata troppo astratta sino ad ora. Cosa ho escogitato?

Prima di tutto ho pensato di creare un compito di realtà quindi una situazione problematica strutturata che potesse essere abbastanza vera. Vi faccio accomodare un attimo nella mia officina, ossia nella mia testa 😉 . La situazione, mi son detta, deve consentire un minimo di immedesimazione, deve avere elementi riconducibili alla realtà, deve chiamare in causa argomenti matematici già affrontati ma soprattutto deve consentire loro di: leggere, interpretare e ricavare dati; classificare e produrre relazioni; formulare ipotesi e cogliere soluzioni a partire dalle proprie conoscenze; produrre risultati mettendo in gioco le proprie competenze; stimolare la creatività e organizzare al meglio il lavoro. Insomma, agire con competenza e conoscenza in modo da valorizzare la crescita di ognuno. Così ho pensato la situazione problematica che condivido qui con voi e che vi racconto.

  1. Ho raccontato una situazione piacevole di condivisione
  2. Per farlo ho utilizzare parole, numeri e immagini
  3. Ho posto quesiti matematici (che hanno richiesto l’utilizzo di equivalenze, calcoli aritmetici, potenze…) ma anche domande di deduzione logica o di interpretazione personale.
  4. Ho dato loro la libertà di gestire dati, ragionamenti, calcoli e organizzazione del lavoro in maniera libera e autonoma.

Ho presentato alla LIM la situazione problematica e ho chiesto loro di utilizzare il quaderno per raccogliere i dati (o schematizzandoli come proposti alla lavagna o trovando altre soluzioni utili) e fare i calcoli al fine di rispondere alle domande poste. Poi ho letto con attenzione l’intera situazione problematica e via via focalizzato l’attenzione su ogni passaggio (ingrandendo alla LIM sezione per sezione alla volta). Non ho fornito alcun suggerimento se non: leggete bene e cercate di risolvere utilizzando le strategie adatte e facendo affidamento su quanto già sapete. Non abbiate paura perché quando ci confronteremo mettendo in luce le varie soluzioni ognuno di voi avrà la possibilità di riflettere su quanto fatto per imparare a fare meglio. La parola chiave è: PROVARE!

Dopo la lettura, mentre gironzolavo tra i banchi, hanno autonomamente raccolto i dati utili e scritto le parole chiave ognuno nella maniera più congeniale (utilizzando i disegni, o le tabelle, o frasi evidenziate, o schemi). Fatto questo hanno iniziato a ragionare e abbozzare i primi calcoli. Infine, pezzo dopo pezzo, hanno dato le risposte e completato ogni parte. La maggior parte ha lavorato alacremente, con grande attenzione e cura, organizzando al meglio il lavoro e giungendo al termine della prova. Alcuni, meno autonomi, invece si sono dilungati nella raccolta delle informazioni e si sono persi in distrazioni prestando più attenzione al lavoro dei compagni che al loro o disperandosi del tempo che scorreva. A disposizione avevano un’ora e mezza. Per aiutare e guidare i meno concentrati mi sono preoccupata di scandire i ritmi e sollecitarli alla riflessione e all’organizzazione del tutto. Hanno lavorato nel silenzio più assoluto. Questo tipo di attività, in un periodo diverso e con la possibilità di lavorare in isole di lavoro condivise, l’avrei proposta anche a piccoli gruppi. Avrei dovuto rinunciare al silenzio assoluto ma sarebbe stato forse più stimolante. Per ora il Covid ci impone lavori individuali, vanno bene ugualmente.

tornando al nostro lavoro, ecco alcuni dettagli di quanto proposto:

Nella prima parte della situazione problematica ho inquadrato la situazione e proposto una serie di informazioni raccolte in tabella. Ho deciso ovviamente di inserire le quantità con unità di misura differenti per verificare se ognuno di loro avrebbe poi calcolato eseguendo prima le equivalenze. Ma calcolare che cosa? Ecco come prosegue la storia:

In questo caso, potete notare che ho suggerito di calcolare i decilitri totali (nella situazione problematica che proporrò per la verifica di fine quadrimestre… perché proporrò un’attività simile come rinforzo di questa esperienza). Suggerisco quindi cosa fare (ma tutti sono stati in grado di cogliere il suggerimento) e loro operano poi i confronti con la misura espressa in litri (la brocca da 2,5 litri). Hanno dovuto quindi scrivere per quale frullato si è optato e motivare la scelta spiegando procedure, calcoli e strategie. Le risposte più complete (emerse solo alla fine di tutto il lavoro) hanno infatti evidenziato che era necessario prima di tutto fare una serie di equivalenze per trasformare tutte le misure degli ingredienti liquidi in decilitri e quindi fare la somma delle quantità per vassoio. Una volta fatto questo è stato necessario fare un confronto con la quantità richiesta e siccome l’unico frullato da 2,5 litri è risultato il Delizia Frullata la scelta è stata quella.

Nella seconda parte del problema ho mostrato i seguenti menù:

Per la festa si raccoglie una quota di partecipazione. Ogni invitato può scegliere un menù e pagare la quota abbinata. Ho posto domande semplici come: 1) perché secondo te i due menù hanno prezzi diversi? (e la maggior parte ha risposto perché l’offerta del primo menù è più varia, completa e abbondante… ad esempio); 2) le bevande sono comprese nel prezzo? (da lettura attenta del menù emerge che lo sono); 3) qual è il prezzo extra a persona? (da menù si ricava che è un euro).

Se alla festa partecipano 13 persone con menù Frutta&Veruda e 9 persone con menù Frutta, e vengono consumati extra complessivi per un importo complessivo di 46 euro, quanti soldi si raccolgono? È possibile risolvere il problema impostando un’espressione?

Hanno lavorato facendo i calcoli in autonomia e infine sono riusciti, la maggior parte di loro, ad impostare anche l’espressione: (9,75 x 13) + (5,50 x 9) + 46 = 222,25 euro.

Per gli ultimi due quesiti vi rimando al file condiviso alla fine del post. Lo trovate in formato PDF e lo potete scaricare cliccando sul link che vi riporta ad una cartella condivisa. Vi allego anche il file corretto. L’ultima parte del lavoro chiama in causa le potenze e pone l’accento anche sulla capacità di individuare la potenza come operazione utile per risolvere situazioni in cui uno stesso numero si ripete per se stesso una serie di volte.

Al termine dell’ora e mezzo abbiamo corretto insieme condividendo idee, strategie, soluzioni, risultati e risposte. Abbiamo letto insieme ogni parte e risolto con calma scrivendo le equivalenze e le operazioni necessarie alla lavagna. Il confronto tra di loro è stato proficuo perché sono emerse strategie diverse che hanno comunque messo in luce che si arriva comunque ad una soluzione corretta. Ho chiesto di esporre le procedure e le strategie messe in atto in modo da far acquisire più fiducia a chi ha lavorato al meglio e far comprendere con più chiarezza a chi non è sempre riuscito bene. I bambini che hanno avuto dubbi o che hanno fatto degli errori (di procedura o di calcolo) hanno esposto le loro difficoltà e, aiutati dai compagni, corretto o completato. Infine abbiamo fatto un resoconto dell’esperienza: com’è andata? quali sono stati i miei punti di forza? quali sono state le mie debolezze? ci sono aspetti che devo approfondire perché mi sento ancora insicuro? Se ho lavorato al meglio e con impegno devo essere comunque fiero di me perché ce l’ho messa tutta ma se non sono riuscito come speravo vorrà dire che la prossima volta andrà meglio perché ora ho capito come fare.

Venerdì prossimo, per la verifica, proporrò una situazione simile. Sarà interessante vedere se questa esperienza è servita a qualcosa. Solo con un secondo riscontro, in cui gli studenti hanno la possibilità di far riemergere le strategie acquisite o ritirar fuori gli errori compiuti, si consolida l’intera esperienza. Nella verifica sarà importante offrire anche un riscontro delle competenze richieste e acquisite per risolvere l’intera situazione problematica.

Ecco il link al Compito di realtà

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