Parlare di guerra e di pace in classe: “Perché?”

Le preoccupazioni, le paure, i dubbi possono diventare enormi se lasciate nei meandri della nostra mente. Anche se non ne parliamo, anche se accantoniamo il discorso o se ci illudiamo di far finta che “non ci sono problemi”… quelli restano lì e premono le corde del nostro benessere. Quante volte i nostri problemi, lasciati decantare o non affrontati o semplicemente non tirati fuori con una bella e sana chiacchierata con le persone a noi care, hanno preso forma dentro di noi manifestandosi in emicranie, dolori addominali, eruzioni cutanee, insonnia e problemi di salute vari? A me è capitato e credo anche a voi. Nei periodi di stress, c’è poco da fare, somatizzo: emicrania e vertigini sono i miei campanelli d’allarme, ma potrei elencarvi anche altri piccoli problemi di salute (che per fortuna, sino ad oggi, sono stati soli piccoli). E noi siamo adulti. Ma i bambini?

Questo capita anche ai bambini, lo sappiamo bene, e loro non hanno neanche la consapevolezza che abbiamo noi. Per questo motivo è importante parlare con loro. Il parlare, il tirar fuori pensieri sotto forma di parole, è sicuramente un modo per affrontare un problema. Osservarlo da un’altra angolazione. Mi piace sempre raccontare l’effetto benefico del confronto con uno psicologo con la metafora del fascio di luce. Anni fa, quando dopo mesi e mesi di vertigini fortissime che mi costringevano a stare al letto e finire in pronto soccorso (e non si trovava alcuna causa fisica che le provocasse), decisi di iniziare un percorso da una psicologa. Probabilmente, in cuor mio, sapevo che avevo alcune questioni da affrontare (sicuramente un lutto importante… vissuto molti e molti anni prima… e mai “metabolizzato”) ma da sola non riuscivo a cavarne piede. Qualcosa sfuggiva sempre. Così iniziai il mio percorso e si rivelò infatti risolutivo: le vertigini sparirono (ora ne soffro solo in rari momenti e mai con attacchi devastanti come in passato) e io ripresi finalmente a vivere meglio. Cosa fece la psicologa di così grandioso? Mi ascoltò e, con poche parole e frasi, mi permise di “osservare” con occhio diverso i miei problemi. La mia sensazione fu proprio questa: essere stata per tanti anni davanti ad un oggetto sistemato al centro di un tavolino e, all’improvviso, grazie ad una luce accesa su di esso… VEDERLO davvero. Prima era lì, certo, sapevo che c’era. Poi, ad un certo punto, è arrivato qualcuno e ha acceso una lampada su di esso e un fascio di luce lo ha invaso permettendomi, per la prima volta, di vederlo davvero tanto da farmi esclamare: “Caspita! Ma di fronte a me c’è un oggetto!”. Insomma, consapevolezza e capacità di vedere le cose con occhi nuovi. Vedere il problema, comprenderlo e non per forza risolverlo (un lutto in effetti non si risolve ma si può affrontare, si può trovar pace con se stessi).

In tutto questo torniamo ai nostri bambini. Quante volte ci sembrano assenti, agitati, non dormono… sembrano nervosi. “Che cos’hai?” – “Niente!”. Spesso, in classe, mi accorgo dei loro tormenti solo da uno sguardo. Qualcuno si confida ma altri non riescono neanche a comprendere cosa stia accadendo. Normale sia così. Poi ci sono i “pensieri negativi subdoli”, quelli che agiscono inconsapevolmente. Il momento storico che stiamo vivendo non è affatto semplice per loro perché sebbene sia molto rischioso parlare di guerra con i bambini così piccoli, penso ai miei di prima, è anche vero che diventa quasi inevitabile affrontare il problema. Perché? Perché i media non lasciano scampo. “Vedere la guerra in TV non è la stessa cosa che viverla ma lascia sicuramente dei segni indelebili”. Per i nostri bambini la guerra è fatta dalle immagini che vedono in tv: bambini terrorizzati che scappano e hanno perso tutto; palazzi distrutti; genitori strappati ai loro piccoli. Nella prima infanzia le certezze e le sicurezze di un bambino sono: l’amore dei genitori, la casa come luogo di cura, serenità e protezione. La guerra, in un colpo solo, elimina queste sicurezze. La paura che la guerra possa arrivare anche da noi può essere destabilizzante. Può creare davvero dei traumi, delle insicurezze. Questo pensiero viene vissuto male e con angoscia da noi adulti (proprio stanotte ho sognato scenari di guerra da incubo) figuriamoci dai bambini. E allora? Meglio non parlarne a scuola? Può essere rischioso?

Se i miei alunni fossero rimasti fuori da tutte le informazioni di questo ultimo periodo… non avrei toccato l’argomento. Avrei colto l’occasione per parlare di pace senza affrontare la violenza della guerra. Ma da appena è arrivato all’attenzione dei media il conflitto Ucraina-Russia i bambini hanno iniziato a chiedere, a raccontare, ad aver bisogno di parlarne. Nel giro di pochi giorni avevano a loro portata di mano, chi più e chi meno, una serie di informazioni e immagini stampate nella loro mente. Come capitò nel ciclo precedente, parlando di morte – e quella volta fu davvero inevitabile perché alcuni bambini mostrarono proprio il bisogno di esorcizzare le loro paure -, ho deciso di non girare la faccia e di parlare di guerra e pace… ma a modo mio. Con un libro.

Il libro in questione è “Perché” di Nikolai Popov (un autore russo tra l’altro). Questo albo illustrato, regalato a mio figlio da un mio amico diversi anni fa, mi è stato d’aiuto anche altre volte per parlare dell’insensatezza della guerra. Senza entrare in merito ai grandi conflitti che hanno sconvolto e sconvolgono il mondo, questa storia ci permette di riflettere su una grande e importante domanda: “Perché arrivare a tanto?” Dalla domanda più spontanea che i bambini e le bambine pongono di sovente “Perché?” proviamo a ragionare sul perché di certi comportamenti usurpanti, scorretti, egoistici e irrispettosi.  Anche questa volta la piccola realtà, un microcosmo, si riflette in quella ben più grande. La storia della ranocchia e del topolino in lotta sono la metafora dei conflitti quotidiani tra bambine e bambini. I litigi da giardino che diventano dispetti; i dispetti che si trasformano in gesti violenti; i gesti violenti che poi rovinano le amicizie e i rapporti minando la serenità del gruppo classe. Ecco cosa troviamo nella quarta di copertina del libro:

TUTTO HA INIZIO PER UNA SCIOCCHEZZA:

DI TUTTI I FIORI DEL PRATO, UN TOPOLINO VUOLE PER SÉ

GIUSTO QUELLO CHE UN RANOCCHIO HA APPENA RACCOLTO…

E SE LO PRENDE.

IL RANOCCHIO CHIAMA IN AIUTO I SUOI AMICI E IL TOPO,

ALLORA, ORGANIZZA LA DIFESA.

IN UN BALENO, SUL PRATO SI SCATENA LA GUERRA:

ATTACCHI E RITIRATE, CONTRATTACCHI E AGGUATI, FINO ALLA DISTRUZIONE.

DOVE PRIMA SBOCCIAVANO I FIORI, NON RESTA CHE DESOLAZIONE.

FRA LE ROVINE, UN FIORE SCIUPATO.

LA GUERRA… PERCHÉ?

Talvolta basterebbe veramente poco per evitare il peggio. Come avrebbero potuto evitare questa guerra i due animali? I bambini offrono da subito soluzioni ragionevoli e convengono che, alla fine, nessuno dei due vince la battaglia perché perdono tutto quello che avevano prima. “Maestra, il ranocchio avrebbe potuto dire al topolino di prendersi pure il fiore e lui ne avrebbe preso un altro. Il prato era pieno! E ora non hanno più niente“. Ne discutiamo e colleghiamo a questa storia anche le nostre piccole esperienze di vita quotidiana. Il nostro parlare diventa il modo per capire che spesso si tratta di affrontare i problemi in maniera diversa per non farli diventare ancora più grandi. Ci rendiamo conto che arrivare a tanto non è mai la soluzione ottimale, anzi… è la peggiore. Ci rendiamo anche conto che purtroppo gli esseri umani non sempre scelgono la soluzione migliore per tutti ma portano avanti le loro guerre accecati dall’odio. Ci rendiamo conto che la guerra è un modus operandi che fa parte del genere umano ancora incapace di far tesoro delle esperienze passate. Parlarne diventa un modo per prendere atto di come l’umanità sia fragile ma che abbia anche un grande potere in mano: l’intelligenza, l’esperienza, la capacità di fare tesoro dei progressi fatti nel tempo.

Leggo il racconto pagina dopo pagina mostrando le immagini e dando enfasi alle parole, riproducendo suoni, modulando la voce e dando respiro alle pause. Le illustrazioni del libro aiutano a riflettere sul prima (il campo fiorito immerso nel verde) e il dopo (la desolazione dei campi bruciati) la guerra. Le immagini sono molto forti nella loro semplicità e i testi sono essenziali: frasi brevi scritte in stampato maiuscolo che occupano solo la parte alta della pagina lasciando spazio alle immagini. Ogni pagina mostra un crescendo drammatico di devastazione in cui i protagonisti, azione dopo azione, si trovano sempre più sconsolati. La penultima pagina è quella che solitamente colpisce maggiormente il lettore: tutto marrone e nero, terra bruciata e devastazione. La guerra è orrore. La guerra deve essere evitata, sempre! Questo è il messaggio: coltiviamo la pace, aboliamo la guerra!!!

Da dove ripartire? Trovare un nuovo “perché” fatto di positività: “Perché è importante coltivare la pace?” A voi le risposte, abbiamo tutto un mondo da costruire e se lo facciamo insieme, forse, sarà migliore.

 

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Un post condiviso da Michela Secchi (@lafinestrasullalbero.it)

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